Dentro la figura di Diego Maradona ci sono due distinte persone: una fragile e intima - Diego - e una decisamente più ingombrante - Maradona. Parte da questo assunto il nuovo film del premio Oscar Asia Kapadia, realizzatore dei celebrati docufilm su Ayrton Senna e Amy Winehouse. Diego nasce in uno slum di Buenos Aires, a quindici anni, dopo aver firmato il suo primo contratto con il Boca, si prende la famiglia sulle spalle e comincia la sua carriera. Il passaggio al Barcellona, il grave infortunio, le risse in campo, le notti brave cominciano a trasformarlo in Maradona. Ma è solo con il passaggio al Napoli Calcio che il calciatore, talento in nuce fino a quel momento, diventa l’idolo celebrato che gli permetterà di portare due scudetti a una città che prima di lui (e finora anche dopo di lui) non era mai riuscita a raggiungere. Vincere il mondiale messicano del 1986 con la nazionale e arrivare in finale (perdendola) il campionato successivo in Italia. Ed è questo il periodo che viene raccontato dall’accorato documentario: gli anni in cui Maradona prende il sopravvento su Diego, fino a raggiungere vette di popolarità mai raggiunte da nessun calciatore prima di allora. Una via alla gloria eterna che però assomiglia tanto al suo modo di giocare al calcio: palla stretta ai piedi, dribbling secchi a spiazzare gli avversari e falli duri subiti, per tentare di fermare ciò che appare inarrestabile. Il calcio come metafora della vita: niente di nuovo, ma perfetto per raccontare un uomo, un personaggio, un eroe, un dio pagano.
Ed forse questo il pregio del film di Kapadia: essere in grado di raccontare una storia nota, aggiungendo sfumature che in realtà disegnano qualcosa di nuovo. Diego Maradona però non è solo la storia dell’uomo e del mito, ma anche la storia della città di Napoli e delle sue contraddizioni, del suo vivere pericolosamente e dei suoi intrecci inevitabili con la camorra. Quindi il quadro è più complesso e le debolezze, le cadute rovinose di Maradona, non che trovino una giustificazione, ma una spiegazione sì.
Kapadia ama i personaggi che racconta e lo stesso accade anche con Diego, al quale dedica primi piani lunghi e silenziosi a cercare di entrare nella mente, nell'anima dell’uomo, e spiegare che l’immortalità può passare dall'immoralità perché comunque dentro ognuno di noi vi sarà sempre un Diego e un Maradona.