E' dagli anni'70 con il maestoso capolavoro Lo Squalo di Steven Spielberg che le inquietanti creature marine si sono ritagliate un posto importante nella storia del cinema e ancora di più nell'immaginario collettivo di tre generazioni in tutto il mondo. E' anche giusto aggiungere che 47 metri arriva al cinema grazie al successo, meritato e inaspettato, di Paradise Beach con Blake Lively ottenuto l'estate scorsa che aveva rilanciato nel mercato main stream la faida squalo/uomo. In questo nuovo film del filone troviamo due sorelle, Kate e Lisa, dopo essersi fatte rimorchiare da due ragazzi al mare, accertano il loro invito ad entrare nella gabbia ed esplorare i fondali marini, dove nuotano enormi squali bianchi. Un guasto alla gabbia costringerà le due sorelle a rimanere bloccate sul fondale marino con solo sessanta minuti d'autonomia d'ossigeno e con i "predatori" degli abissi che le osservano in attesa di trasformarle nella loro cena. Riusciranno a salvarsi o la loro tomba saranno i silenziosi fondali marini, o ancor peggio, le fauci degli squali?
Tra un survivor movie convenzionale e un film di suspance horror, il nuovo film di Johannes Roberts non riesce a trovare una sua vera identità e soprattutto non riesce ad inquietare come vorrebbe e dovrebbe. Tutto è prevedibile e immaginabile, i colpi di scena sono pochi e la componente di avere più personaggi sulla scena, anche se principalmente sono le due sorelle, spezza troppo spesso il ritmo della tensione. A parte i preamboli introduttivi dei personaggi e delle situazioni iniziali, il cuore del film, ovvero dal momento dell'immersione nella gabbia delle due ragazze fino alla fine, dura poco più di sessanta minuti, nei quali non riesce a mordere e spaventare come era lecito aspettarsi. E' sempre cinematograficamente meraviglioso riprendere il silenzio, i colori e la natura degli abissi, ma il senso d'inquietudine che la pellicola doveva generare fa fatica a venire in superficie. Anche gli stessi squali si vedono poco e non sono artefici di scene sanguinolenti o particolarmente efferate, ma il tutto viene giocato su una comunicazione radio ad intermittenza tra la barca e le due ragazze in fondo all'oceano. A lungo andare lo "schema" stanca e assistiamo con neanche tanto particolare trasporto a come le due protagoniste cercano di salvarsi e ritornare a galla, ripetendo anche la "procedura" di risalita ben due volte. Tutto è già visto e conosciuto, non aiuta a trasportare lo spettatore il cast che risulta alquanto anonimo per cui non si è mai in apprensione per loro.
47 metri è così nel suo complesso un film poco riuscito, il cui problema risiede nella sceneggiatura che non fornisce una serie di circostanze incalzanti da mantenere alta la tensione del pubblico, a scapito quindi della suspance che ne doveva essere il cuore e così non c'è, come non c'è il sangue. Delusione in fondo al mare.