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La vittoria di Jafar Panahi a Cannes è un segnale di speranza in un mondo in bilico tra guerra e pace

Jafar Panahi ha vinto la Palma d’Oro al Festival di Cannes, riprendendosi il suo posto nell’Olimpo dei grandi cineasti del nostro tempo.

Dopo 14 anni di divieto di viaggio e quasi 15 anni di censura da parte del governo iraniano, Jafar Panahi è tornato trionfalmente al Festival di Cannes con il film It Was Just an Accident, ricevendo una lunga standing ovation. Il film, una cupa farsa ispirata a La morte e la fanciulla di Ariel Dorfman, racconta la storia di un uomo che crede di aver riconosciuto il suo torturatore e tenta di fargli affrontare la giustizia.

La vittoria di Jafar Panahi a Cannes (Cinetvlandia.it)

Per Panahi, il festival che si tiene nel Sud della Francia torna a rappresentare un desiderio di libertà, peraltro mai celato nelle sue pellicole, e un segnale di speranza in questa epoca storica. Il regista iraniano si trova da sempre a rappresentare il famoso detto per cui nessuno è profeta in patria, e infatti i suoi film sono banditi nel suo Paese d’origine, ma hanno fatto incetta di premi in qualsiasi festival internazionale a cui ha preso parte.

Dalla prima affermazione a Cannes e ritorno: una carriera di pellicole scomode e indimenticabili per Jafar Panahi

Il suo esordio fu proprio a Cannes, 30 anni fa, con Il palloncino bianco, che vinse la Caméra d’or, premio riservato alle migliori opere prime, e peraltro il primo premio importante vinto da un regista iraniano in un festival di quella caratura internazionale. Invece che farne un eroe nazionale, i media iraniani hanno invece iniziato a prendere come bersaglio fisso il regista, che non si è arreso e di festival ne ha fatti e vinti molti.

Una carriera di pellicole scomode e indimenticabili per Jafar Panahi (Cinetvlandia.it)

Pardo d’Oro per il film Lo specchio, a Locarno, poi la vittoria del Leone d’Oro a Venezia, con Il cerchio, e poi ancora un Orso d’Argento a Berlino, con Offside, nel 2006, seguito nove anni dopo dall’Orso d’Oro con Taxi Teheran. Infine, il ritorno a Cannes, a 10 anni da Berlino, con Yek tasādof-e sāde, che tradotto in inglese diventa appunto It Was Just an Accident. A Panahi, nel suo curriculum, mancava la Palma d’Oro e questa è arrivata a coronamento di 30 anni di carriera e non solo.

Il ritorno di Jafar Panahi rappresenta anche e soprattutto un segnale di speranza

Infatti, il ritorno di Panahi segna non solo appunto una vittoria personale, ma anche un potente atto di resistenza artistica contro la repressione, pur consapevole dei limiti imposti e del peso del passato. Il film affronta temi tragici con leggerezza e umorismo, riflettendo lo spirito del popolo iraniano, che riesce a trovare ironia anche nella sofferenza. Pur non scadendo nell’autobiografismo, il regista ha messo in scena il dramma dei prigionieri politici in Iran, in maniera originale come solo lui sa fare.

In realtà, nel film c’è molto della sua esperienza personale, in particolare Panahi racconta le sue due detenzioni: la prima, in isolamento, molto introspettiva; la seconda, in una sezione comune, più aperta e fonte d’ispirazione umana e creativa. Sebbene non più formalmente interdetto, ancora oggi Panahi continua a lavorare clandestinamente, senza il permesso ufficiale del suo governo. Nonostante le difficoltà, la sua passione per il cinema resta intatta: ogni nuovo film è, per lui, un atto vitale e insostituibile.

Gabriele Mastroleo

Redattore online presso Nextmediaweb

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Gabriele Mastroleo

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